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Il burattino di Collodi

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Carlo Lorenzini detto Collodi

Carlo Lorenzini, l’autore di Pinocchio, nacque a Firenze il 24 novembre 1826. Noto a tutti col nome di Collodi, dal paese natale di sua madre, da piccolo ricevette una solida formazione cristiana e, dai 12 ai 16 anni, studiò in Seminario e poi presso i Padri Scolopi di Firenze. Dopo aver iniziato, intorno ai vent’anni, la carriera di giornalista e scrittore, dirigendo vari giornali, si affermò come intellettuale risorgimentale e si impegnò per l’unità d’Italia, partecipando come volontario alla Seconda Guerra d’Indipendenza. Intorno al 1875, abbandonati gli interessi politici, iniziò a scrivere per i ragazzi. Tra le vari opere, nel 1881 pubblicò la prima puntata di La Storia di un burattino sul Giornale per i bambini; l’opera, pubblicata poi in un unico libro dal titolo Le avventure di Pinocchio, ebbe un grandioso successo, ma Carlo Collodi non fece in tempo a rendersene conto, poiché morì a Firenze il 26 ottobre 1890. 

 

Pinocchio salvato dai bambini

Inizialmente, La storia di un burattino venne pubblicata solamente in 15 puntate e terminavano con l’impiccagione di Pinocchio. Collodi, infatti, pose fine alle avventure del suo burattino al XV capitolo con l’inseguimento degli assassini e l’impiccagione di Pinocchio al ramo di una grande quercia. Una fine inattesa e drammatica. Probabilmente, Collodi aveva esaurito la sua fantasia o, forse, si era semplicemente stancato di scrivere “bambinate”, come lui stesso aveva definito questa sua favola. Fu così che la pubblicazione rimase sospesa per tre mesi, mentre Pinocchio penzolava al ramo della Quercia grande in un silenzio mortale.

Di fronte a questa triste conclusione ci fu però una decisa protesta dei piccoli lettori. Numerose lettere, giunte alla redazione del giornale, invocarono la ripresa del racconto con nuove avventure. Costretto a riprendere in mano la storia, Collodi fece resuscitare il suo burattino. Fu così che, incredibilmente, il racconto di Pinocchio venne salvato dall’amore dei bambini.

 

Il Vangelo e l’uomo in Pinocchio

La storia di Pinocchio ricalca in molti aspetti i racconti del Vangelo, a cominciare dalla figura di Gesù, ma narra soprattutto la storia di ogni uomo, con le sue fragilità e il suo bisogno di vivere in pienezza la propria vita. È la storia dell’uomo che, pur volendo cavarsela senza l’aiuto del suo creatore, conserva una naturale e forte nostalgia del Padre.

Nella vicenda di Pinocchio, però, è possibile scoprire il messaggio cristiano della salvezza. D’altra parte, abbandonata la veste del grande intellettuale, quando comincia a scrivere per i bambini, Collodi si rifà alla solida formazione cristiana ricevuta durante l’infanzia. Tra le varie analogie col Vangelo, particolarmente forte è il momento della morte di Pinocchio quando, alla fine del capitolo XV, «balbettò quasi moribondo: “Oh babbo mio! Se tu fossi qui!...” E non ebbe fiato per dir altro. Chiuse gli occhi, aprì la bocca, stirò le gambe e, dato un grande scrollone, rimase lì come intirizzito». È impressionate, come tutto ciò ricalchi il momento della morte di Gesù quando col Salmo 22 supplica il Padre: «“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”. E detto questo spirò». Tuttavia, è la parabola del Figliol prodigo, (Lc 15) che fa da sfondo alla storia di Pinocchio: un figlio che, presa “la sua eredità”, si allontana dal padre, sperpera i beni e le opportunità di crescita, giungendo però anche al suo ravvedimento finale.

 

I vari personaggi del racconto

La favola di Collodi offre personaggi memorabili pieni di simbolismo, a cominciare dalla figura di Geppetto, il cui nome non è altro che il diminutivo toscano di Giuseppe…! Geppetto è un falegname che, in qualche modo, rimanda a san Giuseppe: il padre affidatario di Gesù, ma anche a Dio creatore. Geppetto, infatti, da un pezzo di legno crea Pinocchio che, dopo la sua fuga, con amore lo cerca e una volta ritrovato lo riabbraccia.

Pinocchio è l’immagine di ogni uomo che, nel mondo, vive molte esperienze e, tentato dal male, spesso fa scelte sbagliate. Anche Pinocchio, come l’uomo, ha una coscienza che puntualmente gli parla, tanto da accorgersi che non può vivere lontano dal padre.

Il Grillo parlante, rappresenta il cuore dell’uomo: la coscienza da ascoltare, la voce che indica la strada da seguire, per non cedere al male che devia dal cammino che porta alla felicità autentica. Tuttavia, come Pinocchio, anche l’uomo spesso fa tacere la propria coscienza con una martellata.

La Fata dai capelli turchini rappresenta la possibilità di salvezza, la misericordia divina che ha cura di ogni creatura. Ella appare come l’immagine della Madonna, la Madre che soccorre l’uomo ancora prima che lo richieda, la Madre cui affidarsi per arrivare al Padre.

Il Gatto e la Volpe, approfittatori senza scrupoli, e Lucignolo, giovane scapestrato, rappresentano le tentazioni, cui ogni uomo è sottoposto. In tal senso, la storia di Pinocchio insegna che occorre saper riconoscere i veri amici, distinguendo sempre il bene dal male.

Pinocchio verso la libertà

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Una storia diversa

«C’era una volta...». Così iniziano le favole, annunciando la presenza di protagonisti speciali come re e principesse, dame e cavalieri, maghi e dragoni. Ma quella scritta da Collodi esordisce in modo diverso: «C’era una volta un pezzo di legno», un elemento umile che fa presagire una storia completamente diversa dalle altre.

Questa del burattino è una piccola storia di salvezza il cui tema principale è la “libertà”. Ma la libertà di Pinocchio, come quella di ogni uomo, è una libertà ferita, una libertà limitata che non riesce a fare il bene: ciò che è bello, buono e giusto. Pinocchio vede le cose giuste ma non le fa mai; quindi, scegliendo sempre il male diventa un asino e alla fine, nel ventre di un pescecane, in lacrime strilla: «Oh povero me! Non c’è nessuno che venga a salvarmi?». Finalmente consapevole della propria incapacità di fare il bene, Pinocchio esprime la sua ansia di salvezza. In tal senso, a lui si addicono perfettamente le parole di san Paolo: «Non faccio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo mortale?» (Cf. Rm 7,19.24)

 

La fuga dal padre

Tutta la vicenda di Pinocchio nasce da una fuga, la fuga dal padre: il suo creatore. È un’avventura analoga a quella di ogni uomo e, in tal senso, fa molto riflettere. 

Il padre Geppetto,  prima di “creare” questo suo figlio, ha ideato per lui un progetto di vita: «Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno: ma un burattino meraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali». Geppetto gli diede subito un nome: «Lo voglio chiamar Pinocchio», pensando a lui come a un figlio e non come a un semplice burattino. Infatti, dopo le sue prime birbanterie, Geppetto gli dice: «Birba d’un figliolo! Non sei ancora finito di fare, e già cominci a mancar di rispetto a tuo padre!»

Il burattino di legno, chiamato a essere figlio, appena può fugge dal padre: «Pinocchio cominciò a camminare da sé e a correre per la stanza; finché, infilata la porta di casa, saltò nella strada e si dette a scappare». La storia di Pinocchio ha un inizio drammatico: appena ricevuta la vita dal padre suo, Pinocchio scappa, vuol fare da solo; è l’inizio di tutte le sue sventure.

Questa fuga di Pinocchio, ovvero questa volontà di correre da solo incontro alla vita, ricorda perfettamente la realtà del peccato originale, cioè la ribellione dell’uomo a Dio suo creatore, quando appunto disobbedendo al Padre decise di “fare da solo”.

 

Facile preda di inganni

Incapace di obbedire al padre, Pinocchio si tuffa in una serie di disavventure. Prima di tutto mette a tacere la sua coscienza e uccide il Grillo parlante: il male è entrato nella sua vita e d’ora in poi, solo con se stesso, lo attendono gravi conseguenze.

Convinto di essere “libero”, Pinocchio diventa facile preda di molti inganni: incontra il Gatto e la Volpe che lo raggirano per derubarlo; viene inseguito dagli assassini che lo impiccano; poi, ritrovata la vita grazie alla Fata Turchina, parte con Lucignolo per il Paese dei Balocchi, dove viene trasformato in un asino: è il culmine del suo fallimento.

La fuga dal Padre e dalla propria coscienza, il voler far tutto da soli, lontano da impegni e valori, mettendo al centro il proprio tornaconto, è per l’uomo l’inizio di ogni male.

 

Un ragazzo “per il bene”

Dopo tante vicissitudini, Pinocchio incontra suo padre. È l’inizio di una nuova vita. Salvati dal pescecane e dalle acque del mare, Pinocchio si prende cura del vecchio padre, cerca lavoro e si guadagna da vivere per accudirlo. Infine, venendo a conoscenza che la Fata Turchina è malata in ospedale, offre i suoi risparmi per curarla. Quindi, in sogno, gli appare la Fata: «Bravo Pinocchio! In grazia del tuo buon cuore, io ti perdono tutte le monellerie che hai fatto fino a oggi. I ragazzi che assistono amorosamente i propri genitori nelle loro miserie e nelle loro infermità, meritano sempre gran lode e grande affetto».

Al risveglio Pinocchio si accorge di non essere più un burattino di legno, ma un ragazzo. Infatti, cambiata vita e messosi a servizio degli altri, Pinocchio acquista una nuova natura e diventa “un ragazzino per bene”: un ragazzo libero e capace di fare il bene.

Questa di Pinocchio è una vicenda che richiama la vita dell’uomo: un cammino di salvezza dalla schiavitù alla libertà, con un giudizio finale e la vita nuova della resurrezione.

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